Il DLgs. 231/2007 contiene numerose disposizioni che coinvolgono gli Ordini professionali,
attribuendo agli stessi una molteplicità di funzioni, in alcuni casi di
vigilanza dell’osservanza degli obblighi previsti in materia di antiriciclaggio,
in altri casi consultive, in altri ancora di vera e propria
collaborazione attiva con la UIF, le autorità di vigilanza di settore,
la DIA e la GdF. Gli Ordini professionali svolgono, inoltre, una
funzione di veicolo delle informazioni e dei dati che vengono scambiati tra i professionisti e le istituzioni individuate nel decreto.
In
tale contesto certamente complesso, profili di criticità emergono dal
disposto di cui all’articolo 54 del DLgs. 231/2007, che prevede la
necessità di un’adeguata formazione dei collaboratori dei
professionisti destinatari delle norme in tema di antiriciclaggio. In
particolare, il primo comma del suddetto articolo prevede che i
professionisti e gli Ordini professionali debbano adottare misure di
formazione del personale al fine della corretta applicazione delle
disposizioni in materia. La parte finale del sopracitato comma demanda
agli Ordini professionali l’individuazione delle modalità attuative delle suddette misure.
L’importanza dell’adozione di tali misure è ribadita nella check list “Scheda normativa e modulo operativo n. 6”, in allegato alla circolare GdF n. 83607 del 19 marzo 2012, dove si evidenzia una serie di attività
propedeutiche da svolgere nelle fasi preliminari di accesso negli studi,
tra le quali l’acquisizione di informazioni in merito alla struttura organizzativa del professionista ispezionato e le risorse coinvolte nel procedimento di segnalazione di operazioni sospette. A tal fine, dovranno essere identificati i dipendenti/collaboratori eventualmente
delegati dal professionista ai fini dell’assolvimento degli obblighi
antiriciclaggio e dovrà essere appurata l’adozione, da parte di
quest’ultimo, di misure di formazione del personale incaricato.
Per
quanto riguarda, in particolare, i dottori commercialisti e gli esperti
contabili, che risultano tra le categorie maggiormente coinvolte nelle
verifiche antiriciclaggio, è certamente vero che specifici corsi in
materia vengono periodicamente svolti nell’ambito dell’attività di
formazione professionale continua prevista per gli iscritti all’Albo. A
tutt’oggi, però, le modalità attuative richieste dalla norma non sono state formalmente individuate e,
pertanto, non esistono direttive specifiche che gli iscritti possano
seguire nel formare professionalmente i dipendenti ai quali si è deciso
di delegare le verifiche previste dal DLgs. 231/2007.
Dal punto di
vista strettamente letterale, si potrebbe sostenere che la mancanza
delle modalità attuative delle misure di formazione del personale faccia
venire meno l’obbligo in questione, tesi che sembra tuttavia contraddetta dalla sopracitata circolare della GdF.
In
assenza di tali linee guida, risulta difficile, soprattutto per gli
studi di maggiori dimensioni, allestire in maniera adeguata procedure interne volte
a monitorare l’effettivo grado di apprendimento e aggiornamento dei
propri dipendenti e a garantirne omogeneità di comportamenti.
Alcuni
utili riferimenti operativi e suggerimenti per le modalità di
definizione delle procedure di controllo interno in materia di
antiriciclaggio possono peraltro essere desunti dai
provvedimenti/regolamenti applicabili alle società di revisione e agli intermediari finanziari,
emessi dai rispettivi organi di controllo (Consob e Banca d’Italia).
Per quanto riguarda in particolare la formazione del personale, è
auspicabile che le procedure interne, opportunamente tarate sulla base
delle dimensioni e delle caratteristiche dello studio, prevedano:
– l’individuazione di ruoli, compiti e responsabilità a fini antiriciclaggio (tramite deleghe scritte, direttive, sistemi di controlli interni);
– specifici programmi di formazione per i collaboratori appartenenti alla funzione antiriciclaggio;
– la partecipazione a corsi o convegni nei casi di evoluzioni significative delle norme di riferimento;
– la predisposizione di una relazione annuale sull’attività di formazione;
– l’esistenza di griglie d’indicatori di anomalia utili
per la costruzione del “profilo di rischio” del cliente, condiviso con
il personale in aggiunta e comunque conformi agli indicatori di anomalia
emanati dalle autorità competenti;
– la conservazione di una bibliografia essenziale
e aggiornata in materia (ad esempio, istituendo una raccolta
sistematica di articoli di quotidiani e riviste specializzate);
– approfondimenti mirati
nel caso di operazioni ricorrenti con clienti residenti all’estero
(soprattutto in Paesi con carenze rilevanti in materia di
antiriciclaggio e lotta al finanziamento del terrorismo);
– riunioni periodiche all’interno dello studio volte alla condivisione di problematiche riscontrate con riferimento a specifici incarichi.
Da notare, infine, che l’art. 56 del DLgs. 231/2007, nei casi di inosservanza delle disposizioni ai sensi dell’art. 54, prevede sanzioni amministrative solo
nei confronti di società di gestione, di intermediari finanziari e
assicurativi e di società di revisione. Si rileva, peraltro, che la
norma in tema di formazione del personale è invece riferita a tutti i soggetti del
decreto e che si può quindi dedurre che, negli altri casi non
menzionati nell’art. 56, l’obbligo non venga comunque meno, ancorché non
sia sanzionato.