Com’è noto, la sas si caratterizza per l’“istituzionale” presenza di due categorie di soci: i soci accomandatari,
ai quali è riservata la gestione della società e che, analogamente ai
soci della snc, rispondono illimitatamente e solidalmente per le
obbligazioni sociali, e i soci accomandanti,
i quali rispondono limitatamente alla quota conferita, ma non possono
compiere, se non in presenza delle condizioni ed entro i limiti
tassativamente stabiliti dalla legge, atti di amministrazione della
società, pena la violazione del divieto di immistione e la perdita del
beneficio della responsabilità limitata (artt. 2313, 2318 e 2320 c.c.).
Proprio
in considerazione della particolare conformazione della sas, l’art.
2323 c.c., con riferimento all’ipotesi in cui vengano meno tutti i soci accomandatari o tutti i soci accomandanti, concessi ai superstiti sei mesi di tempo per il ripristino della categoria mancante, stabilisce che, in caso di decorso infruttuoso di tale termine, la società si sciolga;
quanto alla disciplina del periodo “transitorio” di 6 mesi – fermo
restando che in tale periodo, ove rimangano solo accomandatari,
l’attività sociale prosegue normalmente – al comma 2 la norma citata
prevede che, qualora rimangano solo accomandanti, essi debbano nominare,
per il compimento degli atti di ordinaria amministrazione durante il
periodo di cui si tratta, un amministratore provvisorio (che può essere tanto un accomandante quanto un terzo).
Il
presupposto della nomina dell’amministratore provvisorio è la
sopravvenuta mancanza di tutti i soci accomandatari: in applicazione di
tale principio, si è escluso che possa farsi luogo all’iscrizione di
tale nomina nel Registro delle imprese prima del passaggio in giudicato
della sentenza che abbia disposto l’esclusione dell’unico socio
accomandatario, trattandosi di sentenza di natura costitutiva,
produttiva di effetti solo dopo essere passata in giudicato (Trib.
Mantova 3 luglio 2012). Ma è possibile estendere l’applicazione dell’art.
2323, comma 2, c.c., oltre che alla mancanza “fisica”
dell’accomandatario, anche ai casi di impossibilità, in senso lato, di
amministrare la società? Il riferimento è all’ipotesi della revoca dell’unico socio accomandatario dalla carica di amministratore, i cui effetti sono oggetto di dibattito.
Al
riguardo, è evidente infatti, da un lato, la differenza tra il venir
meno della categoria dei soci accomandatari (che ricorre, ad esempio,
quando l’unico socio accomandatario venga escluso dalla compagine
sociale) e il venir meno, in capo agli stessi (che continuano a far
parte della società), della sola facoltà di amministrare; dall’altro,
come il provvedimento di revoca determini, stante il divieto di
immistione da parte degli accomandanti, un “vuoto” di potere gestorio,
suscettibile di compromettere la stessa sopravvivenza della sas. Ecco,
quindi, che, per far fronte a tale situazione, alcuni hanno ammesso l’applicabilità analogica del sopra richiamato art. 2323, comma 2, c.c. e la nomina di un amministratore provvisorio (in giurisprudenza, App. Milano 23 aprile 1991).
Secondo
un diverso indirizzo, ma nella stessa ottica, nell’ipotesi in esame
occorrerebbe fare riferimento alla disciplina dettata dall’art. 1105
c.c., in tema di comunione, o dall’art. 2409 c.c., in tema di spa, con
conseguente nomina di un amministratore giudiziario (cfr.
Trib. Padova 13 luglio 2003), mentre altre pronunce hanno sostenuto
che, in tale frangente, non possa essere nominato né un amministratore
provvisorio né un amministratore giudiziario, dovendosi, invece,
disporre una procura speciale a favore dell’accomandante per il compimento di singoli affari, ex art. 2320, comma 1, c.c. (cfr. Trib. Milano 1° luglio 2002).
L’orientamento prevalente si esprime comunque nel senso di escludere all’applicabilità analogica dell’art.
2323, comma 2, c.c. all’ipotesi della revoca dall’incarico gestorio
dell’unico socio accomandatario, ritenendo invece che, in tali casi, non
possa che configurarsi, in capo alla società, una causa di scioglimento
per sopravvenuta impossibilità di conseguimento dell’oggetto sociale
(art. 2272 n. 2 c.c.), non essendo essa più in grado di funzionare, in
mancanza di chi eserciti il potere di gestione.
Alla base di tale
tesi vi è la valorizzazione della differenza tra le fattispecie
delineate. Si muove dalla considerazione della possibilità di scindere, nella sas, la qualifica di socio accomandatario dal ruolo di amministratore:
se è vero, infatti, che l’amministratore non può che essere un
accomandatario (con esclusione sia degli accomandanti che dei terzi),
non è vero il contrario, essendo senza dubbio possibile che un socio
assuma i diritti e gli obblighi di un accomandatario, escludendo però
quelli inerenti alla posizione di amministratore.
Nell’ipotesi di revoca dell’unico socio accomandatario amministratore, si verifica, dunque, una mera scissione tra
la veste di accomandatario e quella di amministratore, atteso che detto
socio, pur revocato dalla carica amministrativa, mantiene la qualifica
di socio accomandatario e rimane all’interno della compagine. Da qui,
l’esclusione dell’applicazione analogica dell’art. 2323 comma 2 c.c. ad
una fattispecie così diversa da quella da quest’ultimo disciplinata (la
fuoriuscita dalla società di tutti gli accomandatari) e l’affermazione
del verificarsi di una causa di scioglimento della
società, ove la situazione di stallo determinatasi per la mancanza
dell’organo gestorio non sia tempestivamente risolta (Cass. 23 luglio
1994 n. 6871, Trib. Salerno 10 aprile 2007 e Trib. Milano 27 gennaio 2012).