In caso di ricorso alla metodologia della ricostruzione induttiva fondata sugli studi di settore,
l’Ufficio non è tenuto a verificare tutti i dati richiesti, ma può
fondare l’avviso di accertamento anche su alcuni elementi ritenuti sintomatici per la ricostruzione del reddito del contribuente.
A
questa conclusione è giunta di recente la Sezione tributaria della
Corte di Cassazione che, con l’ordinanza del 4 ottobre scorso, n. 16939,
ha legittimato il comportamento dell’Amministrazione finanziaria non
necessariamente ancorato al riscontro pedissequo e completo dei dati
propedeutici alle risultanze degli studi di settore; a condizione, però,
che sussistano altri elementi che possano suffragare la presunzione della condotta evasiva.
La
vicenda rimessa ai giudici di legittimità riguardava il caso di un
contribuente nei cui confronti il giudice di secondo grado osservava che
l’atto impositivo si basava, sì, sugli studi di settore, ma anche alla
stregua del reddito dichiarato dal contribuente e, quale ulteriore
elemento corroborante le presunzioni, considerava la circostanza che il
medesimo avesse acquistato un’autovettura Mercedes e un’imbarcazione
negli anni successivi a quello accertato, in aggiunta a tre altre auto
possedute, oltre a un immobile di otto vani.
Pertanto, con
l’ordinanza in commento, la Sezione tributaria ha ribadito come
l’Amministrazione finanziaria possa fondare il proprio accertamento sia
sull’esistenza di gravi incongruenze
tra i ricavi, i compensi e i corrispettivi dichiarati e quelli
desumibili “dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio
dell’attività svolta”, sia sugli studi di settore:
per questi ultimi, però, l’Ufficio non è tenuto a verificare tutti i
dati richiesti per uno studio generale di settore medesimo, potendosi
basare anche solo su alcuni elementi ritenuti sintomatici per la ricostruzione del reddito del contribuente (cfr. anche Cass. n. 16430 del 27 luglio 2011).
Nel
caso di specie, trattandosi di un contribuente persona fisica, le
risultanze di Gerico venivano ulteriormente supportate dagli “incrementi patrimoniali”
conseguiti dal contribuente negli anni successivi a quello accertato,
incrementativi di un patrimonio già considerevole: una correlazione resa
possibile, e convincente, per il caso di specie proprio grazie alla soggettività tributaria del
contribuente (ben diversa sarebbe stata la questione laddove il
soggetto accertato da studi fosse stata una società di capitali e la liaison avesse interessato “personalmente” i soci).
In
sostanza, il giudice di merito aveva avvalorato l’“anomalia” degli
incrementi patrimoniali realizzati successivamente al periodo d’imposta
caratterizzato dalla “non congruità”,
in ordine alla quale, peraltro, il contribuente non aveva fornito
elementi sufficienti a vincere la relativa presunzione legale
(relativa).
L’ordinanza
è interessante perché convalida la condotta tenuta dall’Ufficio che,
probabilmente, rappresenterà una costante nel prossimo futuro: la
possibilità che, nel corso dell’attività istruttoria a carico di un
contribuente, possano essere “innestate”, a fini rafforzativi delle presunzioni, ulteriori variabili anche riferibili a diverse metodologie di controllo.
Pertanto,
non soltanto punti di contatto tra studi di settore e “vecchio”
redditometro, ma anche, per stare all’attualità, con il nuovo accertamento sintetico –
tanto nella sua declinazione della ricostruzione fondata sulla spesa
“effettiva” quanto su quella “coefficientata” relativa al nuovo paniere
dei 100 elementi indice di capacità contributiva – e con le risultanze finanziarie –
siano esse derivanti da indagini condotte ordinariamente ovvero
“sinteticamente”, ossia relative al riscontro dell’andamento dei saldi
nel corso del periodo d’imposta secondo la nuova e più spedita modalità
varata dalla manovra di Natale dello scorso anno.