L’art. 13-ter del DL 83/2012, che ha rivisto integralmente la disciplina relativa alla responsabilità fiscale negli appalti, sta ponendo, anche dopo l’opportuno intervento dell’Agenzia Entrate con la circ. n. 40/2012, numerosi interrogativi alle imprese e ai professionisti che assistono i predetti soggetti.
In primo luogo, è necessario chiarire l’ambito oggettivo di
applicazione della responsabilità, tenendo conto che la disposizione si
riferisce genericamente ai contratti di appalto, senza ulteriori
delimitazioni, con la conseguenza che il perimetro applicativo
sembrerebbe alquanto esteso,
comprendendo anche, ad esempio, i contratti per la pulizia di uno
stabile, ovvero quelli relativi alla manutenzione di un macchinario.
Se così fosse, appare evidente che si renderebbe necessario, anche nelle predette ipotesi, il rilascio da
parte del subappaltatore (nei confronti dell’appaltatore) ovvero da
parte dell’appaltatore (nei confronti del committente) della dichiarazione sostitutiva (prevista nella circ. 40/2012)
ai sensi e agli effetti del DPR 445/2000, al fine di non incorrere,
rispettivamente, nella responsabilità solidale prevista dall’articolo
13-ter.
A parere di chi
scrive, invece, sarebbe più corretto, aderendo ad una parte della
dottrina che sul punto si è già espressa, ritenere applicabile la
disposizione in esame ai “soli” contratti di appalto stipulati nel settore edile, e ciò per due ordini di motivi.
In
primo luogo, è importante evidenziare che la disposizione in commento è
inserita nel capo III del DL 83/2012, rubricato “Misure per
l’edilizia”, ragion per cui parrebbe logico riferire le disposizioni di
tale Capo al solo settore edile, e non anche ai settori diversi da questo.
In secondo luogo, l’introduzione di una responsabilità fiscale in capo all’appaltatore
(per l’IVA e le ritenute sui redditi di lavoro dipendente afferenti le
prestazioni compiute in relazione al contratto d’appalto) dovrebbe
costituire una sorta di continuazione naturale del percorso iniziato dal
Legislatore per evitare il mancato versamento dell’IVA (e delle
ritenute nel caso di specie) nelle prestazioni eseguite nell’ambito dei
contratti di subappalto.
Ci si riferisce, chiaramente, al regime di inversione contabile,
previsto dall’art. 17, comma 6, lett. a), del DPR 633/72, per le
prestazioni di servizi rese da subappaltatori nel settore edile,
introdotto proprio per evitare il mancato versamento dell’IVA da parte
del prestatore che, una volta
incassata l’imposta a seguito della rivalsa, ometta di far confluire la
stessa nella liquidazione periodica, fermo restando il diritto alla
detrazione ad opera della controparte.
In altre parole, l’art. 13-ter in
commento costituirebbe un ulteriore tassello nel contrasto all’evasione
che in passato si è verificata nel settore edile, ragion per cui
limitare la responsabilità solidale ai soli contratti di appalto nel
settore edile troverebbe una più corretta collocazione,
fermo restando che sarebbe opportuno conoscere quanto prima il pensiero
dell’Agenzia delle Entrate in merito a tale impostazione.
Una seconda questione critica attiene alla posizione del committente,
sia con riferimento alla previsione di una sua “implicita”
responsabilità sia con riferimento alla natura stessa di tale soggetto.
Il comma 28-bis dell’art.13-ter non prevede in capo al committente la responsabilità in solido con l’appaltatore, bensì introduce una sanzione che
va da un minimo di 5.000 euro a un massimo di 200.000 euro, qualora
tale soggetto provveda al pagamento del corrispettivo senza aver
preventivamente ottenuto dall’appaltatore la documentazione (ovvero la
dichiarazione sostitutiva) con cui si attesta il regolare adempimento
degli obblighi tributari attinenti l’IVA e le ritenute sui redditi di
lavoro dipendente.
Sul punto, è agevole osservare che l’entità della sanzione appare del tutto eccessiva rispetto
all’obiettivo perseguito dalla norma, e in alcuni casi potrebbe pure
eccedere l’importo del tributo non versato. Tuttavia, lo stesso comma
28-bis stabilisce che “ai fini
della predetta sanzione si applicano le disposizioni previste per la
violazione commessa dall’appaltatore”. E tali disposizioni, contenute
nel precedente comma 28, prevedono, nell’ambito della responsabilità
solidale, che la stessa non possa mai eccedere il corrispettivo pattuito,
che costituisce quindi il limite massimo. A tal fine, si dovrebbe
concludere che lo stesso limite massimo, in quanto richiamato anche dal
comma 28-bis, si debba rendere
applicabile anche per la sanzione comminata al committente, altrimenti
si potrebbe verificare il caso in cui tale ultima sanzione possa
eccedere l’importo del tributo non versato, il che francamente appare
eccessivo.
Con riferimento alla natura del committente va, infine, segnalato, che il comma 28-ter stabilisce che le disposizioni in tema di responsabilità solidale di cui ai commi 28 e 28-bis (quest’ultimo
riferito al committente) si applichino ai contratti conclusi tra
soggetti che stipulano i medesimi “nell’ambito di attività rilevanti ai fini IVA”
e, in ogni caso “dai soggetti di cui agli artt. 73 e 74 del TUIR”. Ciò
varrebbe ad escludere dalla previsione sanzionatoria di cui al comma 28-bis i
committenti persone fisiche privati, ma anche, ad esempio, i condomini
in quanto soggetti esclusi per definizione dal campo di applicazione
dell’IVA. Diverso il discorso per i committenti enti non commerciali (ad
esempio, fondazione che commette il restauro di un immobile) che
svolgono unicamente attività istituzionale: in tal caso, il richiamo tout court all’art. 73 del TUIR varrebbe a includere tali soggetti nel campo di applicazione della sanzione richiamata in precedenza.
Anche su tale aspetti, tuttavia, si auspica un pronto intervento da parte dell’Amministrazione finanziaria.