Nonostante quanto previsto dalla normativa italiana, sui contratti di locazione di fabbricati strumentali che scontano l’IVA in regime d’imponibilità, l’imposta di registro non può trovare applicazione nella misura dell’1%,
perché si traduce in un’imposta “aggiuntiva” sul volume d’affari che si
pone in contrasto con il divieto sancito dall’art. 401 della Direttiva
2006/112/CE.
Questa la statuizione di principio che si evince dalla sentenza n. 138
della sezione 49 della Commissione tributaria regionale della
Lombardia, pronunciata il 25 ottobre 2012 e depositata il 30, con la
quale i giudici di secondo grado hanno respinto l’appello presentato dall’Agenzia delle Entrate e confermato la decisione della sezione 40 della Commissione tributaria provinciale di Milano (sentenza n. 273 del 19 ottobre 2011) che, in primo grado, aveva accolto il ricorso presentato dal contribuente.
A
tale proposito, giova ricordare come, seguito delle modifiche
introdotte dal DL 223/2006, i contratti di locazione dei fabbricati
strumentali, che risultano imponibili o esenti IVA ai sensi del n. 8 dell’art. 10 del DPR 633/1972, sono da assoggettarsi ad imposta di registro nella misura dell’1%, in forza di quanto previsto dalla lett. a-bis) dell’art. 5 della Parte I della Tariffa allegata al DPR 131/1986.
Se dunque non vi è dubbio alcuno che il legislatore nazionale abbia deciso di assoggettare a tassazione proporzionale ai fini del registro anche i contratti di locazione di fabbricati strumentali che, per obbligo o per opzione, risultano soggetti ad IVA in regime di imponibilità (e
non soltanto quelli che vengono assoggettati ad IVA in regime di
esenzione), trova conferme l’ancora embrionale, ma estremamente
interessante indirizzo giurisprudenziale secondo cui questa impostazione
normativa si pone in contrasto con uno dei principi sanciti dalla direttiva comunitaria in materia di IVA e va quindi disapplicata.
È
presto per dire se l’esempio del contribuente che ha presentato il
ricorso per ottenere la restituzione dell’imposta di registro pagata e
che ha resistito in appello sortirà un effetto valanga ed è ancora più presto per dire se, ove ciò avvenisse, si assisterà a pronunce univoche da parte della giurisprudenza di merito, oppure a prese di posizione “a macchia di leopardo”.
Quel che però è certo è che la questione comincia ad assumere contorni più solidi e quindi più appetibili del mero spunto di riflessione.
Senza
contare che, già in passato, di fronte all’esplosione di imprevisti
fronti di contenzioso progressivamente rivelatisi perdenti per l’Erario,
il legislatore non si è mai fatto scrupolo di introdurre discutibili
misure finalizzate a salvare il salvabile e rendere di fatto irrecuperabili somme versate indebitamente,
quanto meno per tutti coloro che non avevano già promosso un
contenzioso alla data di entrata in vigore della norma di salvataggio di
turno.
Inoltre,
questa volta sì ancora a titolo di mero spunto di riflessione e nulla
più, in assenza di qualsivoglia precedente giurisprudenziale sul punto, è
lecito chiedersi se il ragionamento sviluppato nel suo ricorso dal
contribuente e condiviso dai giudici tributari meneghini di primo e di
secondo grado non possa identicamente valere anche per gli atti di compravendita di fabbricati strumentali che, sempre a seguito delle modifiche a suo tempo introdotte dal DL 223/2006, scontano le imposte ipocatastali nella misura proporzionale del 4% anche quando risultano soggetti ad IVA in regime di imponibilità.
Chiaro che una simile ipotesi, renderebbe addirittura “esplosiva” una situazione gia così estremamente interessante, pur nell’attesa di conoscere anche l’orientamento della Cassazione, stante la certa impugnazione della sentenza d’appello da parte degli uffici.